Il percorso teologico Le poche immagini che animano la Cappella (l’Annunciazione, la chiamata di Pietro, i santi, Cristo risorto) intendono esprimere il tema della chiamata: Dio chiama ciascuno di noi con una vocazione personale, per una missione unica. PARETE SINISTRA Annunciazione Il tema della chiamata e della vocazione è tratteggiato, in primo luogo, con la scena dell’Annunciazione: l’angelo si presenta a Maria, svolgendo sotto i suoi occhi il rotolo che rivela il messaggio di Dio. La Vergine l’accoglie con profondo raccoglimento e disponibilità. Nel corso della storia, esistono fondamentalmente due modelli di rappresentazione dell’Annunciazione: una con il rotolo (o il libro), e l’altra con un gomitolo di filo che la Vergine tesse. Troviamo il punto di partenza delle rappresentazioni con il rotolo nei vangeli apocrifi: si voleva sottolineare che la Vergine leggeva e meditava il brano di Isaia 7,14: “Ecco: la Vergine concepirà e partorirà un figlio”. Un’altra corrente tendeva a rilevare che Maria all’ora dell’Annunciazione stava pregando. Poco a poco il rotolo passava nelle mani dell’angelo, sottolineando cosí che esso era il portatore di un decreto di Dio. Oggi, a distanza di tempo, una pergamena nelle mani dell’angelo può richiamare alla memoria una parola antica, quella che fu in principio, cioè il Verbo stesso. Sull’esempio dei grandi maestri italiani, come Duccio di Buoninsegna, Giotto, il Beato Angelico, la Madonna, con l’apertura del suo mantello, in concomitanza con l’apertura delle braccia, indica l’accoglienza fatta alla Parola, al Verbo di Dio. Il gomitolo è apparso a significare la tessitura della tenda del tempio. La Madonna tesse il velo del tempio, di quel nuovo tempio che è il Corpo di Cristo, cioè dà la carne al Verbo di Dio. Fino ad allora si ascoltava la Parola, da quel momento in poi la si contempla, perché la Vergine di Nazareth, diventando Madre di Dio, gli ha dato la carne, il corpo, cioè la visibilità. Questa Annunciazione vuole in qualche modo sintetizzare le due correnti e mettere in evidenza il passaggio dalla Parola all’Immagine: dall’ascolto alla visibilità, dal Verbo alla carne. Dio aderisce totalmente all’umano, si coinvolge con l’uomo assumendo la sua storia, si fa uomo grazie alla Vergine di Nazareth. Un Dio inaccessibile, assoluto ed eterno ha inabitato il grembo di una Vergine. |
| Annunciazione Ottobre 2003-agosto 2004 |
PARETE DI DESTRA La chiamata di Pietro Gesù (rappresentato nella parete di fronte a Pietro, accanto all’Annunciazione a Maria), sul mare di Galilea, si rivolge a Pietro. L’apostolo è ritratto mentre risponde prontamente al Maestro ed abbandona la barca, attirato da chi l’ha chiamato. Dio è venuto sulla terra e si è compromesso nella storia dell’umanità per coinvolgerci nella sua storia. Ha assunto la vita dell’uomo affinché l’uomo potesse partecipare alla vita divina. Si è reso uomo per esplicitare la vera identità dell’uomo come figlio del Padre. La creazione dell’uomo, secondo san Gregorio di Nazianzo, è una chiamata. Dio, che è il Dio della conversazione, il Dio della Parola, rivolge questa Parola all’uomo e l’uomo è creato: Dio disse, e il creato fu. L’uomo è segnato da questa Parola che gli è stata rivolta, da un principio dialogico. La sua realizzazione si compirà nel rispondere a Dio, nel parlare con Lui, nel comunicare con Lui. La Parola, la chiamata, la vocazione, attendono la risposta, il dialogo. Cristo, vero Dio e vero uomo, chiama Pietro. Esplicita così quella chiamata remota, primordiale, con la quale fu creato l’uomo e che il peccato ha sepolto. Berdjaev, grande pensatore russo, sostiene che la vocazione precede addirittura la persona stessa. Secondo lui, il principio dell’uomo è la vocazione, è una visione d’amore che Dio ha e alla quale e con la quale chiama all’esistenza un essere personale, a sua immagine, in modo che possa personalmente rispondere. L’amore è sempre personale, perciò la chiamata è personale e l’essere creato è un essere con un volto, giacché l’amore ha sempre un volto. La persona creata allora si realizzerà adempiendo la sua vocazione, e questa si potrà compiere solo nell’amore. San Paolo ha precisato che qualsiasi cosa, anche la più grande, se non è fatta nell’amore e con amore, non giova a nulla. Dio dona all’uomo il tempo per realizzare la sua vocazione. Questo, infatti, è il significato spirituale del tempo, che la liturgia stessa purifica e santifica. San Pietro, dall’altro lato della Cappella (proprio per sottolineare che tutta la Cappella è uno spazio liturgico e che le immagini non sono semplicemente la decorazione di spazi vuoti, ma i punti cardine del racconto salvifico che la liturgia stessa celebra), risponde a Cristo e scende dalla barca, orientato dinamicamente verso di Lui, perciò entra praticamente nella Cappella. La persona che entra nella Cappella si trova coinvolta in questa dinamica, in questo coinvolgimento divino-umano. |
| San Pietro lascia la barca e le reti per seguire Gesù Ottobre 2003-agosto 2004 |
I santi Gli appelli di Dio intessono la storia di ogni uomo e di ogni donna, dell’intera umanità. Sulla destra dell’apostolo Pietro, si intravedono alcune onde che sembrano prolungare le sponde del lago di Tiberiade, e poi due figure di santi: il Papa Giovanni XXIII, che è stato Nunzio Apostolico in Francia dal 1945 al 1953, e sant’Ireneo, Vescovo di Lione (ca. 130 – ca. 200). Si tratta di due esempi che vogliono ricordare la chiamata di Dio per gli uomini e le donne di tutti i tempi. Pietro è la roccia della comunità, di una comunione ecclesiale che non si esaurisce nella storia, ma che confluisce nell’eschaton. La Chiesa è una comunione di persone, tutte con la propria vocazione, una vocazione che è possibile vivere e realizzare solo in comunione con gli altri. La Chiesa è il tessuto dell’umanità destinato alla risurrezione. E i due santi ritratti sulla parete non sono altro che una memoria dello sconfinato numero di coloro che hanno manifestato la Chiesa. Si tratta sempre di persone con volti precisi. Le vocazioni sono diverse, i volti sono diversi, l’amore è sempre personale, ma tutti lo sperimentano in pari tempo come proprio ed universale. |
| San Pietro, papa Giovanni XXIII e sant’Ireneo Ottobre 2003-agosto 2004 |
PARETE CENTRALE Cristo risorto Sul fondo della Cappella troneggia la figura di Cristo risuscitato dai morti, trionfatore, con una grande croce, con le braccia aperte, la destra verso il basso e la sinistra puntata verso il cielo. Tutte le vocazioni, di uomini e di donne, di sacerdoti e di laici, di giovani e di adulti sono orientate e sfociano nel mistero della risurrezione. Verso questa mèta cammina la Chiesa. La mano di Gesù, orientata verso la terra, indica ai suoi discepoli che la loro vocazione si realizza nelle realtà terresti, nella semplicità della vita di tutti i giorni. La mano tesa verso l’alto ricorda loro, invece, che pur vivendo nel mondo, per trasformare il mondo, essi non devono mai dimenticare che il loro destino è l’incontro con Lui risorto. Pietro, e dopo di lui quelli che vogliono rispondere alla chiamata di Dio, si incamminano sulla via di una sempre più integra adesione a Cristo. Come sappiamo, Pietro lascia le reti e la barca, ma non la mentalità. Dal vangelo conosciamo quante difficoltà ha avuto per comprendere il modo di pensare e di agire di Cristo, come addirittura si trovi a dare lezioni a Cristo e poi a giurare la sua fedeltà e la sua bravura. Ma pian piano comprende che la vocazione si compie nell’amore e che l’amore bisogna riceverlo. In altre parole, Pietro fa questa esperienza, arriva a questa conclusione: Qualcuno ti deve amare. A fatica sperimenterà che non siamo noi per primi ad amare Dio – anzi non ne siamo capaci –, ma solo se accogliamo l’amore di Dio possiamo rispondere con amore all’Amore. E siamo toccati dall’amore soprattutto quando non lo meritiamo, quando è totalmente gratuito. Per Pietro questo succederà nel cortile del sommo sacerdote. Dopo quell’episodio e quello sguardo di estrema misericordia di Gesù, descritto dall’evangelista Luca (22,61), Pietro comprenderà per sempre che l’amore ha anche una dimensione tragica, drammatica, non disgiunta dalla dimensione risurrezionale, festosa, cioè del Paraclito. La Pasqua, più precisamente il triduo pasquale, è la forma dell’amore di Dio nella storia. Pietro comprenderà che non si può servire l’amore seguendo la propria volontà; mettersi al servizio dell’amore presuppone la morte a se stessi. L’ultima mèta della vocazione è dunque la risurrezione. Lasciarsi penetrare dall’amore significa morire, ma allo stesso tempo vivere, perché l’amore dura in eterno (cf 1Cor 13,8). Quest’affermazione di san Paolo è la più radicale convinzione del Nuovo Testamento: tutto ciò che è assorbito dall’amore è già strappato alla morte per la vita che rimane. Perciò la croce è presente ancora nella scena del Cristo risorto, perché, come dice Bulgakov, era presente fin dalla creazione del mondo. Anzi, il mondo fu creato nel segno della croce, e pertanto ne è segnato essenzialmente. Ma qui la croce è assorbita e trasfigurata dalla luce potente e sfolgorante del Cristo che emerge dall’universo. |
| Il Volto di Cristo Ottobre 2003 |
Nella scena, la risurrezione è sottolineata dal mantello di Cristo. E’ nota la simbologia del mantello di Dio a partire dai profeti fino alla passione di Cristo. Si tratta della gloria di Dio disseminata in tutto il creato e che appare nell’universo ricapitolato con la risurrezione. In un certo senso, il mantello non è del tutto separabile dal corpo di Cristo. Quando Cristo muore e viene sepolto, la terra, come dice Olivier Clément, si rifiuta di mantenere Cristo cadavere. Il corpo di Cristo non è trattenuto dalla terra dopo la sua morte. Anzi, Cristo, risuscitato nel suo corpo, apre a tutta la terra una nuova direzione, ne fa Terra Nuova e Cieli Nuovi. L’universo intero è rivestito di Cristo risorto. Una dimensione filiale si afferma allora in tutto ciò che esiste, un’adesione d’amore al Figlio per essere ridonati al Padre nel Figlio. È proprio a causa di questa visione realista della risurrezione che la vocazione acquista un vigore incrollabile, ed ogni ascesi ed ogni impegno trovano la loro ragione ed argomentazione nella tappa finale, nella vittoria sulla morte. |
| Resurrezione Ottobre 2003-agosto 2004 |
PARETE DI SINISTRA L’altare del Santissimo Lo splendore della figura di Cristo risuscitato dai morti si diffonde particolarmente nell’ultimo spazio della Cappella, che ne è il cuore, poiché conserva la presenza reale di Gesù nelle specie eucaristiche. Sembra una felice soluzione che in mezzo a queste scene che esplicitano il tema della vocazione verso la risurrezione ci sia la custodia dell’eucaristia. Uno sfondo, con i colori che fin dalla più remota antichità indicano il sacro, accompagna l’orante nella Cappella con un sentimento di rispetto e di fiducia. L’eucaristia, infatti, è il sacramento in cui l’umanità continua ad essere coinvolta nella Pasqua di Cristo; è la presenza di Gesù nella quale i suoi seguaci attingono la forza per il loro cammino e la manifestazione e la realizzazione in divenire di ciò che tramite essa è comunicato, è mediato e in cui trova compimento anche la realizzazione concreta della loro vocazione. |
| Parete di sinistra Ottobre 2003-agosto 2004 |
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| Veduta d’insieme verso la parete di fondo Ottobre 2003-agosto 2004 |