ANGELI
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EUROPA

CAPPELLA DEL SANTISSIMO DELLA CATTEDRALE DI SANTA MARIA REALE DELL’ALMUDENA DI MADRID [2011]

Indirizzo
Calle de Bailén, 10 - 28013 Madrid, Spagna
Telefono
Parola chiave
Adorazione dei Magi, Agnello, Altri Angeli, ANGELI, CRISTO IN GLORIA, DEISIS, Emmaus, Gerusalemme celeste, INFANZIA DI GESÙ, MARIA MADRE DI DIO, MINISTERO E MIRACOLI DI GESÙ, Moltiplicazione dei pani, Mosè, Parabole: il buon samaritano, PERSONAGGI ANTICO TESTAMENTO

 

 

 

 

 

Nel giugno 2011 è stato realizzato il mosaico sulle 4 pareti con scene del Serpente innalzato, il buon Samaritano, Moltiplicazione dei pani, Natività, Emmaus e la manna nel deserto; inoltre la torre eucaristica, gli arredi, le vetrate e le lampade in pittura.

 

 

 

 

CAPPELLA DEL SANTISSIMO
 

Nella cappella del Santissimo Sacramento, la parte fondante e centrale è il tabernacolo che qui è collocato in una “torre eucaristica”. Nella parte superiore della torre c’è un posto riservato per la custodia. La “torre eucaristica” nasce nelle cattedrali gotiche nel tempo in cui comincia a svilupparsi la devozione eucaristica per cui, in un certo senso, la erezione della “torre eucaristica” nella Cappella del Santissimo della cattedrale di Madrid si inserisce nella tradizione di molte cattedrali antiche.

Presbiterio
Veduta centrale
Giugno 2011

 

La decorazione della porta del tabernacolo deve aiutare i fedeli a prendere coscienza di chi si venera nel tabernacolo. Non ha senso mettere come decorazione della porta del tabernacolo il calice, il pane, le spighe, l’uva … perché ogni fedele vede che il sacerdote ha messo il pane eucaristico nel tabernacolo. C’è bisogno invece di far vedere in chi si è transustanziato questo pane, cioè nel nostro Signore Gesù Cristo, nel suo Corpo.
La “torre eucaristica” è, quindi, il luogo per eccellenza della presenza del mistero di Cristo-eucarestia. Nell’eucarestia si racchiude tutta l’opera della redenzione che il Padre ha realizzato per mezzo del Figlio. E’ una perenne manifestazione del suo amore, è una continua opera della salvezza attraverso i secoli e i luoghi. Quale può essere lo sfondo della manifestazione della grazia, dell’amore e della redenzione? Lo sfondo della rivelazione di Dio come amore salvifico verso l’uomo è il dramma della storia dell’umanità e di tutto l’universo che, a causa del peccato originale, giace nel male. Il peccato ha portato nel mondo la notte e la morte. Lo sfondo della torre eucaristica è la notte, con tutti i suoi molteplici significati nella storia della salvezza. Sopra il non-essere, Dio impone la luce col primo atto della creazione. Nella notte, Dio fa alleanza con Abramo; nella notte Giacobbe lotta con Dio; nella notte Mosè porta il popolo d’Israele fuori dall’Egitto. Nel mezzo della notte, la Parola si lanciò dal cielo sulla terra (cf Sap 18,15). Nella notte nacque il Figlio di Dio come vero uomo. “Nella notte in cui fu tradito egli prese il pane”. Nella notte risuscitò dai morti. La fascia nera nell’abside è stretta dall’oro perché, come dice il Vangelo di Giovanni (1,5), la notte non può inghiottire la luce, che è sovrabbondante. Così, ogni fedele che prega qui davanti al Santissimo potrà essere confermato continuamente che nella sua vita non esiste niente di così nero, peccaminoso o drammatico che non possa essere penetrato dall’amore di Dio, che dissipa la notte, purifica il cuore e converte il peccato nel perdono. Probabilmente per questa misteriosa tensione tra l’oro come luce assoluta e il nero, che non la vince, questa combinazione coloristica è caratterizzata da una particolare bellezza.

Nella porta del tabernacolo è dipinto il Volto del Signore con la mano nel gesto della benedizione, per ricordare che nel pane eucaristico noi siamo benedetti dal cielo “con ogni benedizione spirituale” (Ef 1,3).

La porta dello spazio riservato per la custodia è fatta in bassorilievo con una fusione di ottone dorato e rappresenta il pellicano, un antichissimo simbolo eucaristico di Cristo che offre la propria carne come cibo per il mondo.

Presbiterio
Torre eucaristica
Giugno 2011

 

Poiché nella cappella si celebra l’eucaristia, vi si trovano anche l’altare e l’ambone.
Sul frontale dell’altare c’è una croce, gonfia come una vela, per far vedere che la croce è il luogo dove Cristo, dal suo costato, ha effuso lo Spirito Santo. La croce è allora il cammino del soffio della vita. Nel centro della croce è collocata una miniatura con l’Agnello trionfante sul trono con i santi, come è descritto in Apocalisse 22. Così si mette al centro la dimensione escatologica dell’eucaristia, in quanto in ogni eucaristia perforiamo il tempo ed entriamo nell’eschaton. L’eucaristia è la convocazione di tutto il Corpo di Cristo, quello della storia e quello della gloria.

Presbiterio
Altare
Giugno 2011

 

Attraverso la porta di cristallo, il fedele vede la scena dell’adorazione dei Magi con la frase: “Veniamo ad adorarlo”, ad indicare che stiamo penetrando in un luogo di presenza reale del mistero di Dio in Cristo, in concreto come eucaristia. I Magi sono presentati commossi e assorbiti dal fatto che il loro cammino di ricerca di Dio si conclude con la scoperta di un volto. I Magi hanno studiato e cercato attraverso le stelle, ma la loro ricerca rivela un’intelligenza limpida e umile perché ad un certo momento scoprono che devono andare a Gerusalemme e mettere la loro ricerca insieme con la rivelazione divina. A Gerusalemme non si presentano con superbia, ma con assoluta docilità e apertura. Quando ricevono l’informazione preziosa per loro, partono subito per seguirla. Alla fine scoprono che dietro le stelle c’è veramente qualcosa, come avevano intuito, anzi c’è Qualcuno, una persona con un volto preciso. Poiché mettono insieme le loro indagini con la rivelazione di Dio, arrivano a Betlemme, dove trovano una vergine che indica un bimbo come vero Dio. In seguito gli offrono i loro doni, perché il vero riconoscimento dell’Altro esige il gesto concreto. E loro il gesto concreto l’hanno fatto: prima nel loro mettersi in cammino e poi nell’adorazione. A Gerusalemme invece i grandi dotti sulla Scrittura, che pure avevano rivelato ai magi dove andare, sono rimasti a casa: la loro conoscenza non serve a niente, se non alla superbia.

C’è una conoscenza che non muove e che non fa camminare, perfettamente conciliabile con ciò che si è o con ciò che si vuole essere. I re magi rivelano che c’è un’altra conoscenza che fa muovere, ascoltare, domandare, cercare, camminare e trovare. Questa conoscenza è quella che porta alla salvezza. L’altra si rivelerà alla fine come l’intelligenza dei superbi che fino alla fine del vangelo non riusciranno ad accettare il Messia.
Il fedele entra allora entra in questo luogo inserendosi nel cammino dei grandi saggi cercatori d’Oriente.

Parete destra
Adorazione dei Magi
Giugno 2011

 

Dietro la “torre eucaristica”, sul lato sinistro e destro, l’eucaristia è presentata come farmaco, medicina.

La prima immagine alla sinistra ci ricorda l’episodio del serpente di bronzo di Mosè nel deserto. Tutti coloro che erano morsi dal serpente e guardavano al serpente di bronzo guarivano. Sia Giovanni (cf Gv 314) che Paolo (cf 1Cor 10,9) si servono di questa immagine per far vedere Cristo come unico farmaco d’immortalità. Il bastone su cui è appeso il serpente di bronzo allude all’albero di Gen 3. Infatti, nella scena ci sono un uomo e una donna che contemplano il serpente di bronzo in atteggiamento di preghiera e, sebbene siano morsi dal serpente, rimangono incolumi. La donna allontana con facilità e determinazione il serpente insidioso. L’unione con Cristo che avviene in maniera cosi radicale nell’eucaristia rende l’uomo salvo dal male del mondo e dalle insinuazioni del diavolo. Questa immagine è particolarmente significativa in un’epoca nella quale il cristiano deve vivere così profondamente immerso nel mondo e sommerso da esso, e perciò continuamente circondato dalle tentazioni del male. Bisogna saper stare nel mondo senza tuttavia essere del mondo, bisogna stare nel male, ma non lasciasi coinvolgere dal male. Il male supremo è la morte che svuota di senso tutto ciò che esiste, ma chi mangia il Corpo di Cristo e beve il suo Sangue, anche se muore, vivrà eternamente (cf Gv 6,51)

Parete centrale
Il serpente di bronzo
Giugno 2011

 

Sulla destra la seconda immagine dell’eucaristia come farmaco si contempla nel buon Samaritano. L’eucaristia è l’evento del Corpo di Cristo. Cristo, prendendo un corpo umano, ha assunto questa umanità ferita e malata, destinata alla morte, il buon Samaritano che si china sull’umanità ferita e mezza morta per guarirla. Allo stesso tempo, l’eucaristia rafforza in noi la vita nuova ricevuta nel battesimo, facendo di noi una parte viva di questo stesso Corpo di Cristo. Così, avendo la vita di Cristo, una vita che non è vincolata più al sangue dei nostri genitori, ma al sangue di Cristo, diventiamo capaci di fare gli stessi gesti di Cristo e di vivere non soltanto secondo Cristo, ma in Cristo. Perciò, l’eucaristia ci rende capaci della carità. Attraverso di noi può passare quell’unico amore con il quale Cristo ci ha amati e che poi si compie nella stessa scena del samaritano: “Tutto ciò che avete fatto a uno di questi piccoli, l’avete fatto a me” (cf Mt 25,40). Chiunque vive nell’amore è strappato alla morte e custodito in Cristo per la risurrezione, perché l’amore dura in eterno. Così, l’eucaristia è il farmaco d’immortalità perché ci fa vedere l’unità delle due mense, quella dell’eucaristia e quella della carità.

Parete centrale
Il buon Samaritano
Giugno 2011

 

Alla destra e alla sinistra della torre eucaristica sono raffigurati due angeli, un angelo con la luce eterna

Parete centrale – lato sinistro
Angelo
Giugno 2011

 

e l’altro angelo con un purificatore.
L’angelo è sempre testimone della presenza di Dio e qui, ancora più esplicitamente, richiama l’evento liturgico, la liturgia terrestre e quella che si celebra eternamente nel cielo.

 

Parete centrale – lato destro
Angelo
Giugno 2011

 

Nella parete sinistra segue l’episodio della manna nel deserto. Il pane che Dio ha dato dal cielo è immagine di Cristo stesso (cf Gv 6). Quando il popolo si ribellava non volendo continuare il cammino nel deserto e cominciava a rimpiangere il tempo in cui erano seduti accanto alle pentole piene di carne in Egitto, Dio intervenne dando il pane dal cielo. Il primo era il cibo della schiavitù e dell’essere seduti; il secondo, il cibo del cammino, cioè della vocazione. Il popolo eletto è un popolo in cammino, perché è un popolo della vocazione: ha un inizio e una meta. Con la manna, Dio voleva insegnare al suo popolo come procurarsi il cibo e di che cibo ha veramente bisogno l’uomo. L’uomo ha bisogno solo di quel cibo che lo aiuti ad attraversare il deserto per giungere alla terra promessa, che nel Nuovo Testamento si esplicita come piena comunione con Dio, in Cristo. Se l’uomo voleva accumulare la manna, il cibo non resisteva e venivano i vermi. Dio provvede per i suoi. Tutto ciò di cui il corpo ha bisogno viene dal cielo attraverso la terra, come la manna.
Nella scena si vede un uomo che prega e una donna e un bambino che raccolgono la manna e fanno una focaccia, proprio per indicare che quello di cui l’uomo ha bisogno non se lo procura solo con le proprie forze e con la propria fatica. E poi, la manna si raccoglie in un mantello: “Prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici…” (Sal 23,5). Tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno per attraversare il deserto della vita e giungere alla piena comunione con Dio Padre, si trova in Cristo, nel quale siamo incorporati grazie il battesimo. L’eucaristia nutre questa vita e ci insegna anche a vivere, lavorare e mangiare. Dio voleva che, quando il popolo mangiava la manna, si ricordasse di Lui che provvedeva per loro. Infatti, noi cristiani impariamo a mangiare dall’eucaristia perché lì impariamo che il pane non è soltanto pane, ma Cristo, e perciò in ogni alimento vediamo un po’ del suo amore attraverso l’amore di chi ce l’ha procurato e preparato, ossia attraverso la comunione con chi lo mangiamo e tramite la creazione.

 

Parete sinistra
La manna
Giugno 2011

 

Nella parete destra, dopo l’angelo, è raffigurata la moltiplicazione dei pani. Nel capitolo 6 del Vangelo di Giovanni con la moltiplicazione dei pani si afferma l’origine divina di Cristo. I giudei, increduli, gli chiedono dei segni come quelli che ha fatto Mosè, che ha procurato la manna nel deserto. Cristo si stupisce che non abbiano ancora compreso che non è stato Mosè a dar loro la manna, ma il Padre del cielo. Gli israeliti che hanno mangiato la manna sono morti, ma chi mangia questo nuovo pane, il pane vero, che Cristo chiama pane vivo, non morrà, ma vivrà in eterno. Cristo dichiara che Lui offre al mondo una vita che non conosce tramonto e chi accoglie Lui, accoglie questa vita, perché si unisce tanto intimamente con Lui quanto il pane alla vita dell’uomo.
Cristo dice che la volontà del Padre è che chi vede il Figlio e crede in Lui, avrà la vita eterna e Lui lo risusciterà nell’ultimo giorno (cf Gv 6,40). Poco dopo dice che chi mangia questo pane e beve il suo sangue vivrà eternamente e Lui lo risusciterà nell’ultimo giorno (cf Gv 6,54). Cristo quindi mette in evidenza che credere in Lui significa vederlo e vivere con Lui un rapporto così totale e concreto quanto lo è il mangiare e il bere la carne e il sangue. Credere è una vera partecipazione alla vita di Dio, in Cristo. Cristo è il cibo per quella vita che abbiamo ricevuto nel battesimo e che ora è vincolata al suo sangue. Allo stesso tempo Cristo mette in evidenza che la questione del pane è una cosa del Padre: mangiare il pane significa bere l’amore del Padre. Il pane trasmette la vita del Padre e Cristo è appunto questa comunicazione. Cristo come pane è dunque la rivelazione del Padre e del suo amore verso di noi. Anche a livello umano, la tradizione dei popoli ci trasmette che procurare il pane era normalmente compito del padre. Perciò nella scena della manna il padre di famiglia sta pregando per far vedere che il pane per la vita che supererà la morte non se lo può procurare l’uomo da solo, come d’altronde non può neanche aggiungere un solo giorno alla sua vita. Nella moltiplicazione dei pani Cristo fa vedere che, accogliendo Lui, il Padre ha cura dei suoi a partire del dono della vita che va al di là della tomba. Perciò ogni altra cura o lavoro nasce da questo primato del dono della vita divina ed esiste in vista di questa vita ed in funzione di essa.
Nel racconto della moltiplicazione dei pani, Giovanni sottolinea un dettaglio, cioè che i cinque pani e i due pesci erano dati a Cristo da un ragazzo. Questo dettaglio ci permette di sottolineare un’altra verità teologica e liturgica: perfino il più piccolo dono che consegniamo a Cristo, nelle sue mani diventa immenso e illimitato come il suo amore, che è universale. In molte preghiere dopo l’offertorio, si esplicita come la nostra umile consegna diventa un bene per molti. Per questo motivo è stata collocata la scena della moltiplicazione in una chiesa, perché il Corpo di Cristo è la Chiesa. Il bambino che consegna i pani sta alla porta della chiesa, al confine fra il mondo e la chiesa, tra la creazione e la chiesa. Così si rende visibile come ciò che è assunto nella liturgia, lì passa in Cristo e si trasforma in un dono universale: il pane si converte in vero pane, cioè in Cristo, che è anche pane offerto per molti. Infatti, sono sette pani per sette ceste, cioè una moltitudine infinita. Inoltre, il discepolo che distribuisce il pane ha un vestito molto simile a quello di Cristo, per indicare la successione nel sacerdozio e l’universalità dell’unico sacerdozio, quello di Cristo.

Parete destra
Moltiplicazione dei pani
Giugno 2011

 

La nostra carità non è, allora, semplicemente il nostro sforzo eroico di donare, ma una dimensione della carità di Dio e della sacramentalità dell’amore. I diaconi di per sé nel rito latino non hanno un ruolo significativo; tuttavia la loro presenza nella celebrazione eucaristica è estremamente importante. Secondo il disegno della chiesa, il compito del diacono è quello di organizzare la carità nella chiesa: così tutti vedono e capiscono in modo esperienziale che la carità ha una sola fonte, quella di Cristo. Siccome l’eucaristia include il passaggio pasquale di Cristo al Padre, l’Eucaristia “produce” l’effetto della carità nelle persone e moltiplica il dono.

Nell’ingresso della cappella sulla destra, si trova la scena dei Emmaus. I discepoli di Emmaus, nel riconoscere il Signore allo spezzare il pane, costatarono la risurrezione. Entrambi si dirigono verso Emmaus facendo diversi commenti e analisi di ciò che è accaduto, proprio come capita nella chiesa in molti raduni ed incontri. Tutti siamo abituati a fare i nostri commenti e le nostre analisi, la nostra mente si oscura per queste preoccupazioni e i nostri gli occhi si coprono di nebbia, tanto che non sono in grado di riconoscere il Signore che cammina con loro. Credono anzi che Egli sia l’unico straniero, nonostante in realtà sia il protagonista degli avvenimenti riguardo ai quali discutono. Pian piano Lui stesso rivela loro che ciò che non riescono ad accettare è il fallimento, la crocifissione. Cristo cioè fa loro intendere che era veramente necessario che fosse inviato dal Padre per rivelare agli uomini l’amore del Padre. Perciò si consegna nelle nostre mani. E siccome siamo una generazione malvagia e peccatrice, lo abbiamo maltrattato e ucciso. Ma proprio in ciò Lui ha rivelato l’amore, lasciandosi trattare così. In quel momento i discepoli comprendono ciò che scriveranno più tardi san Giovanni e san Paolo, cioè che solo l’amore rimane e che tutto ciò che è assunto nell’amore risusciterà per la vita eterna. Perciò i discepoli, senza esitazione, si alzano e corrono verso Gerusalemme, verso la comunità. I discepoli vivono praticamente una sorta di triduo pasquale. In un certo senso, con loro succede ciò che era stata la pasqua di Cristo: passano dalla tristezza, dalla delusione, dal fallimento all’esperienza dell’amore di Dio. Da persone che si stanno allontanando dalla comunità, risuscitano come persone della comunione che tornano alla comunità per testimoniare il Risorto.
Questa scena è raffigurata secondo tale comprensione teologica. Perciò i due discepoli sono orientati verso Gerusalemme, rappresentata come chiesa. L’eucaristia è, infatti, il Corpo di Cristo e perciò anche rivelazione della verità della Chiesa. Quando si prega davanti al Santissimo, non si deve mai dimenticare che si sta contemplando anche la nostra verità, cioè noi come Chiesa, Corpo di Cristo. La devozione al Santissimo non può pertanto cadere in un misticismo individualistico, ma essere collocata in una sana dimensione ecclesiologica, apostolica e caritativa. Chi pregherà in questa cappella uscirà da essa attraverso la porta dei due discepoli di Emmaus ed entrerà nella dinamica creativa della Chiesa e, attraverso la Chiesa, di tutto il mondo in mezzo al quale la Chiesa cammina.

Parete di fondo
I discepoli di Emmaus
Giugno 2011

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